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Hikikomori, soli per scelta ma connessi: quando il mondo finisce in una stanza

Hikikomori cioè stare in disparte. Un passo indietro rispetto alla società, agli altri, al mondo che esiste fuori dalla finestra della nostra cameretta. Soli, isolati, con l’unica compagnia virtuale di videogiochi e chat online.

Un fenomeno ancora poco conosciuto, quello dell’Hikikomori, ma non per questo poco diffuso in Italia. E il Covid non ha fatto altro che acuire un disagio che colpisce soprattutto i giovani. Ma va fatta una distinzione precisa tra isolamento obbligatorio – dovuto in questo caso specifico alle misure Covid – e isolamento volontario, qual è quello che caratterizza l’hikikomori.

La sindrome dell’hikikomori porta l’individuo soggetto al disagio a indietreggiare, a mettere in atto un vero e proprio ritiro sociale. Lo dice l’etimologia del termine giapponese.

La parola “hikikomori” fu utilizzata per la prima volta dallo psicologo e scrittore Saito Tamaki: deriva da ‘hiku’ che sta per ‘indietreggiare’ e ‘komoru’ cioè ritirarsi socialmente. Dal 2013 il termine ha trovato una propria identità anche sul dizionario della Lingua Italiana Zingarelli. “Il fenomeno nasce proprio in Giappone e ha riguardato, fin dal principio, quei ragazzi o quegli adulti che decidono di praticare una reclusione volontaria, chiudendosi in casa, spesso nella propria stanza, per un periodo variabile: che può andare da qualche mese a svariati anni”. A parlare al Capoluogo è la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia.

Si tende a distinguere, nella nostra cultura occidentale, tra: Hikikomori Primario, ovvero quella condizione di reclusione che non ha legami con altri disagi preesistenti, e Hikikomori Secondario, quell’esclusione sociale che risulta essere l’effetto di fobie, disturbi dell’umore o altre sofferenze a livello psichico

Hikikomori, l’esigenza di stare soli a causa di un malessere

L’hikikomori, ormai, è un disturbo molto diffuso anche in Italia. Sono circa 100mila i casi accertati. Il disturbo in genere appare prevalentemente in una fascia d’età che va dai 10 ai 40 anni. La maggiore incidenza si registra fra i 15 e i 19 anni

Tra i sintomi che provoca: lo sviluppo di pensieri ossessivi o compulsivi, fissazioni, regressioni infantili. 

Le principali cause dell’hikikomori negli studi ad esso dedicati sono state elencate in:

-un malessere a livello familiare e in modo ancora più ampio a livello sociale,

– una particolare introversione.

-episodi di bullismo scolastico, con i giovani cheesprimono la loro sofferenza attraverso il ritiro sociale.

“Tuttavia, al di là del mondo esterno, il disturbo può derivare da come ogni singolo individuo tende a decodificare determinate dinamiche che si ritrova ad affrontare, da come reagisce e, quindi, quali risorse intrapsichiche attiva”, specifica Chiara Gioia.

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Scuola post Covid, l’emozione di tornare in classe

Scuola e nuovi inizi. A due settimane dal ritorno tra i banchi come stanno i ragazzi? Stop forzato causa Covid19, lezione online, poi l’estate. Ora si è tornati in classe, rigorosamente in mascherina.

Il primo dato che salta all’occhio è che, in questa ripartenza, qualcosa è mancato: a volte le insegnanti per l’assistenza agli alunni, altre volte addirittura i banchi, aspettando quelli a rotelle. La didattica in presenza, però, è ripartita ovunque in Italia, tornando a cadenzare le giornate di studenti e genitori. L’allegria di rivedere i propri compagni, spesso ha incontrato il disagio di dover mettersi i libri sulle gambe. Anche a L’Aquila. 

Nella ripresa dell’attività scolastica si possono individuare tre tappe fondamentali: l’ordine, la necessità e l’accoglienza. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Chiara Gioia, psicologa e psicoterapeuta aquilana.

Scuola, ripartiamo dall’Ordine

Il punto di partenza è avere una scuola sicura e in presenza, presupposti imprescindibili per questo ritorno. “La scuola viene considerata l’agenzia educativa per eccellenza, insieme alla famiglia. Un luogo di confronto, dove si attua la strutturazione della propria personalità. Un ambiente importante sia per chi intraprende questo percorso per la prima volta, quindi i bambini più piccoli, sia per chi ha visto il proprio percorso di crescita formativa interrompersi bruscamente, nel marzo scorso, per cause di forza maggiore”, spiega Chiara Gioia alla nostra redazione.

La riapertura della scuola, allora, ha portato alla “riattivazione del concetto di ordine. Vale a dire l’organizzazione di svolgimento delle nostre attività, secondo criteri rispondenti al concetto di armonia“.

Le abitudini cambiate dal lockdown e una quotidianità ridisegnata prima e ‘ri-attivata’ poi.

Ritorno a scuola, dall’Ordine alla Necessità

La pandemia ci ha catapultati nel disordine, riassumibile nella perdita dei rituali della giornata. Scuola, attività sportive, lavoro, hobby: tutto in pausa. Oggi, quindi, nasce la necessità di capire quali sono le nuove o vecchie necessità personali. Non è detto che siano rimaste le stesse del pre-Covid.

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Giornata per la prevenzione del suicidio, il “fattore Covid” moltiplica le solitudini

Il 10 settembre è la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Cause e attività di prevenzione al tempo del Covid 19 con la dottoressa Chiara Gioia.

Da marzo a oggi in Italia si sono registrati 71 suicidi e 46 tentati suicidi, presumibilmente correlati a Covid-19, a fronte di un numero di suicidi per crisi economica che nello stesso periodo del 2019 si attestava a 44 e quello dei tentati suicidi a 42. Lo segnalano gli psichiatri al Convegno Internazionale sulle tematiche legate al suicidio, organizzato dalla Sapienza Università di Roma, in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio del 10 settembre. Ma il Covid 19, con il suo corredo di “isolamento”, è solo uno dei tanti fattori che possono essere ritenuti “cavatappi” rispetto a quelle problematiche che possono avere esiti tragici rispetto al suicidio.

“Il suicidio – spiega a IlCapoluogo.it la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia – nel mondo rappresenta la terza causa più frequente di morte. Dal punto di vista psicologico, il suicidio viene considerato rispetto agli enigmi sulla vita, la sofferenza, sul “valerne la pena” rispetto alla vita in un momento particolarmente difficile, ma non è un ‘atto improvviso’, come spesso appare dalle cronache. Occorre tener presente che il nostro mondo intrapsichico è come se fosse abitato da ‘personaggi’ normalmente in equilibrio tra loro. Nel momento in cui la realtà concreta non è più in sintonia con questo mondo interiore si possono generare disagi, più o meno gravi”. In concreto, possono essere disagi economici, lutti (intesi in senso stretto o lato, come lutti per una separazione) e altri i “fattori scatenanti” rispetto però a un disagio interiore già in atto.

Capitolo a parte per le problematiche legate al Covid 19: “Al momento c’è una tempistica che non ci permette di effettuare correlazioni scientifiche definitive, ma è chiaro che certi dati del Convegno Internazionale sono significativi. Proviamo a pensare a quella prima infermiera che si era suicidata, pensiamo alla sofferenza che già il personale sanitario è abituato vivere quotidianamente, è chiaro che la pandemia ha assunto ruolo di ‘cavatappi’ rispetto ai disagi accumulati nel tempo. Dal punto di vista psicologico, inoltre, il Coronavirus ha portato all’amplificazione della solitudine e dell’isolamento sociale“.

Solo la prevenzione, quindi, può contrastare un fenomeno che in un periodo di pandemia rischia di aggravarsi: “Purtroppo il suicidio è considerato ancora un concetto tabù, in quanto esito tragico di una sofferenza mentale e psicologica; dobbiamo aiutare tutti a comprendere che tutto si può dire e tutto si può affrontare nel modo giusto. Ci sono figure professionali competenti che possono guidare la persona nel proprio mondo intrapsichico. La prevenzione su larga scala è possibile nel momento in cui il ruolo dello psicologo non viene associato a un ‘malato di mente’, ma come un supporto per tutti, al di là del potenziale problema critico”.

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Businessman father and son are going to school. Dad and schoolboy wearing face mask. Schoolboy is ready go to school. Little boy going to school during coronavirus pandemic. Back to school 2020.

Scuola, stress da rientro post Covid: prendete per mano i vostri figli e accompagnateli

Studenti lontano dalle aule da 6 mesi, quale sarà l’impatto psicologico del ritorno in classe.

Come stanno gli studenti?

I genitori possono aiutare alla ripresa delle abitudini quotidiane, a cadenzare la giornata e a riprendere gli impegni.

Una nuova routine, abbandonata per cause di forze maggiore, e una nuova quotidianità a cui abituarsi. Dopo 6 mesi senza regole e con una nuova organizzazione familiare, i ragazzi stanno per rientrare in classe.

Si tornerà a impostare la sveglia alla mattina presto, si tornerà a scuola, ma senza avere la possibilità di tornare a sedere accanto al proprio vicino di banco, si tornerà a seguire le lezioni dei propri insegnanti, non più dietro lo schermo di un computer.

Sei mesi trascorsi con autonomia ed un’autogestione del proprio tempo, in molti casi senza aprire un libro e trascorrendo troppe ore sul cellulare, sulla PlayStation o davanti alla Tv.

I cambiamenti per gli studenti si sono susseguiti indistintamente, senza che nessuno di loro avesse il tempo di assimilarli.

Problematiche affrontate con la dottoressa Chiara Gioia, psicologa e psicoterapeuta aquilana. “Si parla e si discute molto, ovviamente, delle modalità di rientro a scuola, in sicurezza, a settembre. Si parla molto meno, invece, dell’impatto psicologico che questo ritorno a scuola avrà sui ragazzi. Studenti già reduci da cambiamenti rilevanti nel loro percorso di formazione, con la chiusura degli istituti scolastici fin da marzo scorso e il relativo lockdown, che ne ha rivoluzionato la quotidianità. Un aspetto, questo, rimasto nell’ombra, anche nell’ambito del dibattito nato circa la situazione scuola nel post Covid”, spiega la dottoressa Gioia alla redazione del Capoluogo.it . 

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La proiezione, ciò che irrita negli altri per capire noi stessi

La proiezione: quando accusiamo gli altri dei difetti che ci appartengono. L’analisi di un fenomeno sempre più diffuso nell’era dei social con la psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

La proiezione in psicologia, ovvero attribuire all’altro (persona o cosa), in modo anche inconsapevole, aspetti di noi quali sensazioni sgradevoli, sentimenti ostili, bisogni in cerca di soddisfacimento.

“Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a conoscere noi stessi” ( C. G. Jung).

Con la proiezione si tende a proiettare all’esterno caratteristiche proprie che non ci piacciono e che in qualche modo causano una grande sofferenza.

Il problema grosso insorge quando in età adulta l’utilizzo della proiezione come meccanismo di difesa è massiccio e preponderante.

Un fenomeno reso ancora più massiccio nell’era dei social, ai tempi della visibilità a costo di ogni cosa. Il Capoluogo ha affrontato il tema della proiezione con un’esperta, la psicologa clinica e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

“Etimologicamente il termine Proiezione (dal latino proiectio-onis) fa riferimento all’atto del gettare avanti, l’atto di proiettare, di lanciare nello spazio un corpo pesante, ma anche ciascuna delle diverse azioni di lancio, mediante le quali nel judo si cerca di atterrare l’avversario”, spiega la dottoressa Gioia al Capoluogo.

“Inoltre indica una trasmissione di immagini fisse o in movimento da una pellicola o diapositiva su uno schermo bianco, ottenuta mediante speciali apparecchi, i proiettori per l’appunto e poi, ancora, la valenza che ha nel campo della geometria con le proiezioni ortogonali, così come in anatomia ci sono le fibre di proiezioni, fasci o tratti nervosi di connessione tra la corteccia corticale e i livelli sottocorticali, ovvero in generale tra un nucleo che proietta su un altro”.

Da quanto detto è possibile dedurre la Proiezione come trasferimento.

“Proiezione da Projektion, intesa come meccanismo di difesa dell’Io, significa il trasferimento di un processo soggettivo in un oggetto, in contrapposizione a introiezione. La proiezione è pertanto un processo di dissimilazione, in quanto un contenuto soggettivo, viene estraniato dal soggetto e incorporato nell’oggetto”.

“Può trattarsi tanto di contenuti sofferenti, incompatibili con l’equilibrio del mondo interiore, contenuti dei quali il soggetto, o meglio la parte cosciente ritiene opportuno disfarsene e difendersi mediante la proiezione, quanto di valori positivi che sono inaccessibili per un motivo qualsiasi, ad esempio per una bassa autostima”.

Usando una prospettiva ancora più minuziosa e viscerale, la proiezione si basa sull’identità arcaica di soggetto e oggetto, ma merita il nome di proiezione solo quando si determini la necessità di dissolvere l’identità con l’oggetto.

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