Non è semplice essere adolescenti, soprattutto nel bel mezzo di una psicopandemia.
Se i dati nazionali raccontato di episodi di autolesionismo o di aggressività in crescita, di genitori in difficoltà nella gestione dei propri figli, la fascia degli adolescenti sembra essere quella che più ha risentito dello stravolgimento portato dalla pandemia. Pandemia che per tutti, ma soprattutto per loro, sembra sempre più assumere i contorni di una psico-pandemia. Con tutte le conseguenze del caso.
Hanno perso tanto gli adolescenti di oggi.
Anni di rapporti sociali, anni di formazione in presenza, anni pieni: di relazioni, di amicizie, di carezze dei nonni, di corse in bici con gli amici, di pigiama party in compagnia, di pomeriggi di gruppo alla play, di feste e tradizioni ormai care. Hanno perso quasi tutto, all’improvviso, e spesso si sono ritrovati a chiudersi in sé stessi.
“Per prima cosa bisogna considerare l’adolescenza come un periodo di passaggio per ogni individuo. L’adolescenza, infatti, è un ponte di collegamento tra il mondo del bambino e quello dell’adulto e comporta una necessità per ognuno di sperimentare e soddisfare tante curiosità: pensiamo a quelle relazionali, comunicative e alla necessità viva di fare nuove esperienze relazionali. Un turbinio di emozioni, anche a livello ormonale, che ovviamente richiede un’attenzione per definire la propria identità e il proprio modo di essere“, ci spiega la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.
Poi è arrivata la psicopandemia
“È stato inevitabile che tutto ciò si arrestasse. Bloccando quelle possibilità di esplorare curiosità, esigenze…così come le volontà di scoprire ciò che siamo. L’adolescente inoltre, al di là della pandemia, ha anche necessità di interfacciassi con il mondo della psicologia. Nella mia esperienza concreta – sia come analista privata che come psicologa nelle scuole – ho osservato emergere un loro interesse nell’avvicinarsi al mondo della psicologia. Strumento non inteso come il bisogno di qualcuno che è malato, ma come terapia per capire le proprie emozioni, per ridurre l’eventuale divario comunicativo con i propri genitori o con i propri compagni. Se queste necessità, però, non vengono riconosciute nel modo giusto da parte degli adulti, l’adolescente rischia di portarsi dietro disagi anche profondi, che possono, in casi estremi, sfociare in atti e in improvvisi comportamenti aggressivi”.
Ha destato molto stupore e ci si interroga sulle motivazioni che hanno condotto un giovanissimo studente delle medie di Sulmona ad accoltellare un collaboratore scolastico Ata, pochi giorni fa.
Capita che un adolescente possa mettere in atto un comportamento che, per la mente adulta, sia assolutamente impensabile. Si tratta, molto spesso, “dell’espressione di una mancata capacità comunicativa, di disagio, sofferenza. Un insieme di problemi che non sono stati individuati. Non può trattarsi di un black out nato e consumatosi all’improvviso, poiché non esiste il black out: se esplode l’aggressività è perché manca qualcosa a livello comunicativo e non si è stati in grado di riconoscere determinate emozioni”, continua Chiara Gioia.
“Si tende, ad esempio, a demonizzare la tristezza. Perché? Perché rimproverare chi piange? È importante educare al pianto, in quanto si tratta di un’emozione importante. I bambini e gli adolescenti devono imparare a riconoscere la tristezza, solo così riusciranno a gestirla. Specifichiamo che la tristezza può diventare un nucleo ibernato che può sfociare in tante altre forme espressive, anche di profondo disagio o violenza. Il bullo non nasce dall’oggi al domani, uno stato depressivo adolescenziale non nasce dall’oggi al domani, un’esplosione di aggressività non nasce dall’oggi al domani. Alle spalle e alla base c’è sempre un processo maturato nel tempo e, spesso, non riconosciuto. Questo è ciò che emerge soprattutto dai miei interventi nelle scuole: non è un caso se, oggi, tanti ragazzi si mostrano interessati al percorso psicologico. Una realtà liberata dal pensiero arcaico che vede la psicologia come il percorso per ‘curare la pazzia’. Anche in questo è importante saper comunicare. Comunicare l’importanza della psicologia, parallelamente all’importanza della comunicazione tra insegnanti e allievi e, ovviamente, tra genitori e figli. Soprattutto quando il mondo intorno è ingabbiato nelle morse di vincoli, incertezze e angoscia. Se manca la comunicazione tutti i processi che incameriamo diventano potenziali bombe esplosive. Quindi se la psicologia interviene a migliorare la comunicazione, a nutrirla, essa può fornire un sostegno prezioso agli adolescenti. Anche perché per bambini o adolescenti non c’è alcun giudizio da parte del terapista”
“La pandemia ha agito come compressione di tante cose che i ragazzi non hanno potuto vivere, per questo – mai come ora – può servire una guida per i ragazzi. Guida anche psicologica, come supporto educativo utile per gli stessi genitori“.